Lavorare, risparmiare, licenziarsi.

Son contento.
Ho lavorato per più di quattro mesi di fila senza sclerare troppo con un lavoro che mi va un po’ stretto… il cuoco, con gente che mi va un po’ storta… fascismi ignoranti, bullismi innocenti, monotonie stancanti.
Ho risparmiato la bellezza di tre stipendi e un po’, senza le mance ovviamente. Quelle le ho spese aggiro.
In questi mesi ho re-imparato a stare in una cucina, che gli anni di università mi avevano fatto dimenticare, ho ripreso in mano coltelli, padelle, palette e ramazze. Ho imparato cose nuove certo ma ho anche rispolverato vecchie memorie. Le ricette e le dosi che il lavoro nelle estati italiane mi fece imparare, senza fatica peraltro, sono ritornate a galla in men che non si dica. Il lavorare fisico mi è sempre piaciuto, rilassa. Se calmo a livelli accettabili, non sclerante a livelli pazzi.
Ho constatato che anche il grande chef di un buon ristorante non sa fare la besciamella, o almeno non sa farla nel modo presumibilmente sano che conosciamo in Italia. Non si lavavano le verdure. Tranne l’insalata. Arrivavano abbastanza pulite e siccome lo sembravano ad un occhio veloce, le si considerava a quel modo. E se provavi a chiedere… «Scusa ma qui non le lavate mai le verd…» «Lavarle? Ma se sono pulite! Guarda.» «E ma i pesticidi e tutte quelle…» «Non ti preoccupare.» Eh. Appunto.
E lavoravo. Turni assurdi, non come quantitativo di ore ma perché strutturati in un modo a cui non ero abituato. Io, avvezzo a spadellare in hotel, mi son trovato spaesato nel modello del ristorante anglosassone: i turni cambiavano tutti giorni, tutte le settimane, cazzo, c’è il rischio che un giorno ti sbagli ed timbri all’orario sbagliato! Mai successo per fortuna.
La cosa più bella è che conosci ed impari a conoscere gente diversa, gente che ha viaggiato, molto più di te in molti casi. Australia, Spagna, Sud America, Russia. E nei momenti di pausa del lavoro ti fai raccontare, ti appoggi al banco ed ascolti e immagini. E poi racconti a tua volta. Ma le tue storie sono sempre piccole e banali, o almeno così ti sembra. Ovviamente non è vero.
E poi cambia un membro dello staff. E ti chiede, sempre nelle piccole pause, come funziona, come si fa questo, di dove sei, da quanto ci sei. E tu cerchi di spiegare, certi di farti capire, e gli dici che i manager sono solo dei buffoni, che verranno a in cucina a fare i bulli e spiegarti come fare il condimento per l’arrabbiata, che ovviamente non sanno fare, ma sono i manager e bisogna dirgli OK, far capire al loro piccolo cervello che hai capito e che sei OK al 100%. OK al 100%. Poi spieghi al nuovo arrivato come si fa una vera arrabbiata, e lui ti dice OK al 100% e si ride.
I manager. Prova a contraddirli. Perché prima di dirgli OK, understood, ci provi a fargli capire il tuo punto di vista, le tue conoscenze, quello che hai imparato. NO, non funziona così. Il manager dice, tu fai. La pasta fresca non cuoce più dopo 5 minuti, cuoce quando viene a galla. Se una salsa si è asciugata al caldo, non ci devi mettere un goccio d’acqua, ma olio o panna o va-a-sapere-cosa. Gli dici OK, ma dentro di te li mandi il più delle volte a fare in culo. E sei sei fortunato, se sai fino a quando lavorerai, allora te ne sbatti proprio. Vuoi l’arrabbiata? Eccotela, super-oliosa, super-che-fa-malissimo, super-che-no-la-mangeresti-mai-cazzo. È il modo più semplice per sopravvivere senza troppi scazzi, dici loro OK e poi fai quel cazzo che ti pare, vieni ripreso per una scemenza e poi ti chiedono una pasta al gorgonzola… dico loro OK e se scorgi un pezzo di gorgonzola per terra dimenticato da dio, che fai, non lo usi per il tuo manager preferito? Questo ed altro per i miei amici manager.
Non tutto era merda ovviamente. Gli orari non erano massacranti e la paga quasi buona. Diciamo sfruttati al punto giusto, tenuti saldamente in bilico tra la speranza di buon lavoro e il baratro della disoccupazione: «Abbiamo bisogno di te, ma come te ce ne sono a valanghe, quindi…» Be’ ciao.
Io ho cercato di scrutare l’orizzonte e ho visto cose diverse, altre città, altre persone, altre vie. Non so, licenziarti ti libera, ti sfoga. Ho avuto il sorriso stampato in faccia per dei giorni, prima e dopo… «Che ridi?» «Mi sono licenziato l’altro giorno e…» «Ah sì, ti capisco allora…» Ma non perché fosse chissà che brutto lavoro, anzi. Una questione diversa. Perché ti apre la strada a mille pensieri, a milioni di speranze o possibilità, soprattutto se era un lavoro a tempo pieno. Puoi pensare ai tuoi cazzi a tempo pieno, tutto il giorno.
Ovviamente la pacchia prima o poi finirà, di pari passo con i soldi risparmiati.
Ma adesso sapete cosa? Mi trasferisco a Londra cristodiddio! E fatemi gli auguri cazzo =P