Ho finito di leggere Altai, l’ultimo romanzo dei Wu Ming, la settimana scorsa.
Molto bello. E non stupefacente o grandioso. Semplicemente molto bello.
Coinvolgente, anche e molto.
L’ho comparato dalla più bella commessa di libreria che io abbia mai visto e forse per questo, me lo sono goduto un pochetto di più.
Seconda metà del 1500. Si narra delle vicende di una spia veneziana, ai servizi della Serenissima, che si intrecciano molto presto con i reduci delle avventure descritte in un precedente romanzo, Q.
Dai basta, leggetelo, non ho più voglia.
All’inizio l’ho trovato un po’ faticoso e in alcuni punti un po’ forzato: ad esempio in alcuni dialoghi tra Cardoso e Nordio (la descrizione della strategia utilizzata dal protagonista nei rapporti col suo superiore). Ma piccolezze in confronto all’epicità della storia raccontata.
Dopo i primi capitoli un po’ così, si vola come il vento verso la conclusione, veloci, troppo, e quasi dispiace finisca. Proprio come Q.
Q mi piacque, mi piacque tanto da rileggerlo più volte, o forse l’ho fatto solo per non dimenticare e tenere vivi in memoria alcun passaggi.. Anche Q fu difficile da iniziare, non riuscivo ad entrare nel racconto e tutte le volte che salivo di uno scalino, c’erano quelle pallose lettere di Qoelet al papa a spezzare l’incantesimo. Ma si trattava anche lì solo dell’inizio, di ingranare la marcia giusta e di capire un po’ meglio il quadro generale.
Volevo lasciare un commento all’opinionista, ma non accetta commenti (l’immaginetta antispam è rotta).