Ok, grazie.

Cammino pian piano verso l’ufficio dell’amministrazione. Lei è dentro, lo so. E’ sempre lì a quest’ora. Ecco, son quasi arrivato. Cerco di metterci più tempo possibile, saranno più o meno cinquanta passi dalla mia postazione, cerco di farne cento. Non ci riesco mai.
Odio dover fare questa cosa, vorrei che qualcuno mi portasse via: sto andando a chiedere la busta paga. M perché devo chiederla io? Lavoro, portami la busta. Tu non devi chiamarmi affinché io venga al lavoro, perchè io devo per chiedere la tua parte?
Sento la sua voce. E’ al telefono, dovrò anche aspettare mentre finisce.
Come entro comincia a fissarmi, appena apro bocca smette di colpo e non mi rivolge più lo sguardo. Probabilmente io faccio la sessa cosa.
– Ciao, son venuto per la busta paga, me ne sono dimenticato, di solito me la portate voi…
Non dice niente e comincia a cercare nei cassetti, poi nelle cartelline. La trova.
– Ecco. Ah, se guardi la busta non troverai il riborso per le uscite. Il tuo contratto non prevede dei rimborsi così alti. Comunque li avrai il mese prossimo.
– Ok.
Le dico solo questo “ok” ed esco. Anzi le dico pure grazie. Sono un imbecille.
Il fatto è che i discorsi con persone che hanno del potere sulla mia vita mi imbambolano. Dopo qualche ora mi sveglio e ci ripenso su per un po’. Scorro il breve dialogo come fosse una vecchia VHS. In ginocchio davanti al videoregistratore mi riascolto menre dico “Ok, grazie.” “Ok, grazie.” “Ok, grazie.”…
Sono un imbecille.
Possibile che le uniche due parole che avevo in testa siano state “ok” e “grazie”? Perché non “vaffanculo” e “stronza”?
Va a finire sempre così.
– Scusa, so che sei in pausa, potresti fare un salto… – Ok.
– L’installazione di domani è un po’ impegnativa, ci sarà da far un po’ tardi la sera… – Ok, grazie.
– Puoi venire un’ora prima domattina? – Ok, grazie.
– Scusa, ti tevo sfruttare un po’. – Ok, grazie!
Vinceranno loro, hanno già vinto. Perché ormai abbiamo paura, un mix di paure. Di parlare e di dire ciò che pensiamo. Abbiamo paura di quello che rappresentano, di quello che noi non vogliamo diventare. Paura di restare senza occupazione, che alla fine un poco ci piace, anche se il tempo libero è poco e la paga anche meno. Un lavoro trovato dopo tanta fatica e attese e colloqui e delusioni e mattine a guardare il vuoto del soffitto.
Mi dico sempre che alla prossima non me ne starò zitto.
Spero di farlo senza violenza.